La necessità di una due diligence… Mentre si continua a fare eventi sull’open government e sulle smart cities, si trascura il dato vero delle Pubbliche Amministrazioni italiane: che, a parte alcune scontate best practice, esse non sono né smart né open.
Va riconosciuto che in questi ultimi anni sono stati fatti passi avanti rilevanti nell’opera di efficientamento della macchina pubblica, ma non abbastanza da invertire la tendenza del suo rendimento e, conseguentemente, la percezione dell’opinione pubblica.
A essere aumentata è, invece, la confusione. Bussola della trasparenza, agenda digitale, e-government, open-data: sono termini molti diffusi tra Comuni, Regioni, Ministeri. Termini di moda, che ogni PA vuole esibire sul proprio sito web. Ma una città, prima di essere smart, deve essere city e un ministero, prima di essere open, deve essere government. Fuori dal perimetro degli addetti ai lavori, i cittadini, che sono utenti e finanziatori della Pubblica Amministrazione, non si fidano più degli slogan: per convincersi che la PA sta davvero cambiando, devono farne esperienza concreta nei contatti diretti che quotidianamente hanno con il tribunale, l’Asl, la scuola.
Per governare il processo di innovazione delle PA serve, innanzitutto, riavvolgere il nastro e capire cosa non ha funzionato sin qui, nel perpetuo cammino di riforma italiano. Cosa è stato sbagliato e cosa ancora si sbaglia?
Sicuramente è sbagliato continuare a elencare problemi: con diversi livelli di informazione e consapevolezza, sappiamo tutti cosa non va nelle amministrazioni.
Così come è sbagliato continuare a dire cosa dovrebbe essere fatto senza poi farlo. Convegni accademici e dibattiti televisivi sono affollati di relatori illuminati che dispensano soluzioni miracolose contro sprechi e inefficienze: il problema è che si tratta per lo più di soluzioni la cui attuazione viene scaricata su terzi, talora proprio su quelle élites politiche e amministrative che sono parte del problema da risolvere.
È sbagliato, infine, continuare a invocare l’ennesima nuova legge: sono già troppe quelle approvate nel tempo, alcune molto utili ma di cui la maggior parte dell’opinione pubblica ignora persino l’esistenza. Cosa serve, allora, per mettere fine agli sbagli ripetuti e virare efficacemente verso l’innovazione della Pubblica Amministrazione?
Innanzitutto, serve spostare l’attenzione dal cosa fare per le PA al conoscere le PA. Nessuno investe in un’azienda senza prima una due diligence della stessa, così da verificare se e dove è necessario intervenire per ristrutturare. Perché il concetto non dovrebbe valere per le PA, che gestiscono denaro pubblico?
Eppure, a oggi nessuna istituzione o organismo, pubblico o privato, dispone della fotografia esatta dell’universo PA. Un universo immenso ed eterogeneo. L’unica fotografia disponibile è quella frammentaria che emerge dai dati del Mef, del Ministero dell’Interno, della Corte dei conti, dell’Istat e di altre banche-dati, ma si tratta per lo più di aspetti parziali (ad esempio, i bilanci): nessuno copre l’intero mondo della Pubblica Amministrazione con tutte le sue attività.
Il primo passo da fare, dunque, è raccogliere un quadro completo di informazioni, ripartendo dalla lettura e dall’analisi di documenti, dati e informazioni sulle migliaia di amministrazioni che compongono il sistema pubblico italiano. È una strada lunga e faticosa, spesso priva di attenzione mediatica, ma ineludibile: lo è per i contribuenti che ambiscono a vedere spesi bene i loro denari, per i cittadini che chiedono buoni servizi, per le imprese che puntano a crescere, per il paese che voglia modernizzarsi e svilupparsi. Lo strumento per la due diligence delle PA esiste già: si chiama Rating Pubblico ed è stato costruito da Fondazione Etica
Spendere meglio il denaro pubblico significa migliorare il rendimento delle istituzioni pubbliche e far loro recuperare credibilità e autorevolezza: è anche così che si combatte il clima di sfiducia crescente dei cittadini verso le istituzioni e si ridà significato alla parola partecipazione e a termini molto in voga quali coesione e civic engagement.