L’annunciato piano di assunzioni nel pubblico impiego viene presentato sui media come la chiave per modernizzare la Pubblica Amministrazione italiana. A seguito dello sblocco del turnover, nuove immissioni nel personale delle PA, notoriamente “anziano” di età e di servizio, sono una condizione indispensabile per quella riforma che l’Unione Europea ci chiede come pre-condizione per accedere ai fondi del Next Generation EU. Ma bisogna fare molta attenzione a non sbagliare l’ordine cronologico dei passi da fare.
Assumere non può essere il primo passo, se non preceduto, o almeno accompagnato, da un’azione di miglioramento della capacità amministrativa e finanziaria delle Amministrazioni destinatarie dei vincitori dei prossimi concorsi. Altrimenti, il rischio è che i futuri neo-assunti finiscano per essere sotto-utilizzati, e, nel tempo, demotivati.
Serve, dunque, sapere innanzitutto chi assumere, con quali profili e per quali ruoli. In altre parole, serve una mappatura del personale pubblico per capire come assumere. Fondazione Etica con Luiss-Icedd la mette qui a disposizione intanto per le Regioni, e, a breve, per i Comuni.
La gestione del personale è una delle aree nelle quali è chiara la fonte da cui attingere informazioni: il d.lgs. 33/2013, infatti, dispone non solo la pubblicazione di dati sul personale all’interno di un’apposita voce “personale” nella sezione Amministrazione Trasparente dei siti web istituzionali, ma precisa che quei dati debbano essere pubblicati secondo un formato standard, che consenta quell’omogeneità di informazioni che è la premessa per una valutazione comparata delle PA.
La norma è chiara, così come chiaro è lo strumento da utilizzare – il conto annuale – ma ancora oggi ci sono Amministrazioni che lo non pubblicano o che lo pubblicano parzialmente.
Regione benchmark risulta la Liguria, con score 80 (Very Good), seguita in classe di rating inferiore dalla Lombardia, con score 69 (Good) e, nella stessa classe, da Marche, Veneto ed Emilia Romagna.
Sul lato opposto del ranking, il Molise non solo risulta l’ultima posizionata, ma, con score pari a 2, scende in classe di rating Fallible, dove è in compagnia di altre cinque Regioni, di cui quattro sono Regioni del Nord a Statuto Speciale (SS): in ordine crescente di rating, Valle d’Aosta (score 8), Calabria (12), Friuli (13) e le due Province Autonome di Trento e di Bolzano (rispettivamente con score 17 e 18).
In generale, nessuna Regione del Sud ottiene per l’area un Rating Pubblico sufficiente, a parte la Puglia che vi si avvicina molto (score 49 su 100). Più in dettaglio, vediamo i risultati sui singoli indicatori utilizzati dalla metodologia del Rating Pubblico di Fondazione Etica e Luiss-Icedd.
Costo del personale
L’opinione pubblica prevalente, in Italia, ritiene che i dipendenti pubblici costano troppo, soprattutto nelle Amministrazioni del Sud, ma i numeri rilevati non dicono esattamente questo.
Se si guarda al costo del personale pubblico regionale che ogni cittadino deve sostenere, il più alto appartiene a una Regione del Nord, e non del Sud, come la Valle d’Aosta: oltre 1.800 euro pro-capite (Da un lato, la Valle d’Aosta ha potuto assumere di più grazie alla sua autonomia statutaria; dall’altro, è un ente molto piccolo che, tuttavia, non può avere in proporzione gli stessi dipendenti di Lombardia e Veneto che, invece, possono sfruttare economie di scala). La seguono altre tre Regioni del Nord: le due Province Autonome di Bolzano e di Trento (rispettivamente con un costo pro-capite di 237 e 181 euro) e il Friuli Venezia Giulia (155 euro).
Poiché la quinta Regione con il maggior costo pro-capite del personale regionale risulta la Sicilia, al Sud, la variabile che sembra incidere sull’indicatore non è quella Nord/Sud, ma quella Statuto Ordinario/Statuto Speciale.
La Sardegna è l’unica Regione a Statuto Speciale a contenere il costo del personale al di sotto dei 100 euro pro-capite.
Sul fronte opposto del ranking, sono lombardi i cittadini chiamati a sostenere la spesa minore per il personale pubblico regionale, con 16 euro pro-capite, seguiti dai veneti, con 26 euro p.c..
Tra le Regioni del Sud, quella che fa pesare meno sui propri cittadini il costo del personale è la Puglia: con meno di 39 euro p.c. si colloca al quarto posto della graduatoria.
La collocazione geografica risulta incidere solo parzialmente anche sull’indicatore che misura l’incidenza della spesa per il personale sul totale delle spese correnti. Da un lato, infatti, è una Regione del Nord come la Lombardia a presentare un’incidenza al di sotto dell’1%, seguita da un’altra Regione del Nord come il Veneto (1,2%). Dall’altro, anche sul fronte opposto del ranking si trova una Regione del Nord: la Valle d’Aosta presenta una spesa per il personale che incide su quella complessiva corrente per oltre il 20%, collocandosi all’ultimo posto.
Le Regioni del Sud si distribuiscono lungo tutto l’asse del ranking: Sardegna, Puglia e Campania nelle prime otto posizioni; Basilicata, Sicilia e Molise nelle ultime quattro; Abruzzo e Calabria nelle posizioni centrali.
Da notare che la Toscana, Regione benchmark, occupa una posizione sostanzialmente intermedia nel ranking di entrambi gli indicatori, a conferma del fatto che una Regione performante non è necessariamente quella che spende meno per il personale.
Consulenze e personale a tempo determinato
Sulla spesa per il personale incidono anche altri due indicatori: le consulenze e le assunzioni a tempo determinato.
I numeri rilevati dall’analisi sembrano sfatare il luogo comune secondo cui le Regioni spendono molto per le consulenze: il loro costo medio in rapporto alla spesa totale per il personale è dello 0,6%. Un altro risultato significativo è che a spendere di più per consulenti sono enti performanti come la Toscana (1,3%) e la P.A. di Bolzano (4,8%). Ciò consente di affermare che la spesa per consulenze non è automaticamente sinonimo di sprechi di denaro pubblico: al contrario, per alcune competenze specifiche, altamente qualificate, può essere più conveniente per una Regione reperirle all’esterno, limitatamente al tempo necessario, anziché sostenere il costo fisso di un’assunzione a tempo indeterminato.
Sul lato opposto della graduatoria, la minore spesa per consulenze appartiene a una Regione del Nord come la Liguria e una del Sud come la Sicilia, entrambe con un’incidenza dello 0,1% sul totale della spesa per il personale.
Il secondo indicatore citato nel titolo del paragrafo misura la percentuale di assunti a tempo determinato su quelli a tempo indeterminato. I risultati dell’analisi rilevano una percentuale media appena superiore al 2%, con punte che superano il 4% sia per una Regione poco performante come la Sicilia (4,5%), sia per una performante come l’Emilia Romagna (4,4%).
La percentuale più bassa di assunzioni a tempo determinato appartiene a Liguria, Lombardia e Umbria. Per la Campania e il Piemonte il conto annuale del personale non riporta dipendenti a tempo determinato. (Di conseguenza, il valore è pari a zero e lo score assegnato è quello massimo).
Età media
L’età media dei dipendenti regionali si attesta a 54 anni. Dunque, un’età media elevata, che arriva a sfiorare i 57 anni in Basilicata e si attesta sui 51 in Piemonte. Da notare che per un terzo del campione il dato non è disponibile.
Assenze per malattia
Un altro luogo comune sui dipendenti pubblici riguarda l’alto tasso di assenteismo soprattutto al Sud: in questo caso i risultati dell’analisi sembrano confermarlo.
L’indicatore, infatti, rileva che il maggior numero di giorni medi di malattia nell’anno appartiene, con oltre 10 giorni, a due Regioni del Sud: Sicilia e Campania, rispettivamente con 12,3 e 11,4 giorni. Viceversa, le Regioni con il minor numero sono due del Nord: Liguria (Per la Liguria il dato sulle assenze per malattia appare molto contenuto rispetto a quello delle altre Regioni, anche efficienti come il Veneto o la Lombardia. Il valore è confermato anche negli anni precedenti. È da considerare, tuttavia, che risultano mediamente elevate altre assenze retribuite come i congedi retribuiti ai sensi dell’art. 42, c. 5, d.lgs. 151/2001 e i congedi della Legge 104) ;(2,6 giorni) e Veneto (5,7).
Da notare che una Regione performante come l’Emilia Romagna supera la media di 7,9 giorni di malattia, (con 8,4 giorni medi) a fronte di una Regione poco performante come la Basilicata che riesce a starne sotto (con 7,5 giorni medi).
Anche in questo indicatore per un terzo del campione la valutazione non è stata possibile per mancata pubblicazione del dato. (Non disponibile il Conto annuale. Il dato che viene pubblicato sulle assenze nella sezione AT dei siti web degli enti è a carattere mensile e spesso espresso in percentuale).
Dirigenti
Ancora un altro luogo comune: i dirigenti sono troppi, soprattutto nelle Regioni meno efficienti, e quindi al Sud. I numeri dell’analisi sembrano dire altro anche in questo caso. Se è vero, infatti, che la percentuale più alta di dirigenti sui dipendenti appartiene a una Regione poco performante del Sud come la Sicilia (8,8%), è vero anche che la seconda percentuale più alta appartiene a una Regione performante del Nord come la Lombardia (6,5%).
Parimenti sul fronte opposto della graduatoria, è vero che la P.A. di Trento ha la percentuale più bassa di dirigenti (2,1%), ma è vero anche che la Puglia, al terzo posto, non se ne discosta molto (3,1%).
In base ai dati riscontrati nell’analisi si può affermare che una percentuale elevata di dirigenti sul totale del personale di una Regione non costituisce, di per sé, un segnale di sprechi e inefficienze.
Premi
Il decreto legislativo 33/2013 dispone, all’articolo 20, che nell’apposita voce della sezione Amministrazione Trasparente sui siti web istituzionali vengano pubblicate le informazioni relative all’ammontare dei premi collegati alla performance individuale, differenziando quelli stanziati e quelli effettivamente distribuiti nell’anno, distintamente per dirigenti e per dipendenti non dirigenti.
Tale obbligo normativo risulta disatteso da otto Regioni, che pubblicano dati non completi e/o non aggiornati sui premi ai dirigenti, oggetto della rilevazione. Si tratta di Regioni poco virtuose del Sud, come la Calabria e la Campania, ma anche di Regioni virtuose del Nord, come la Toscana e il Friuli Venezia Giulia. Un caso limite è, ancora una volta, quello del Molise, che risulta non avere mai pubblicato il dato. (Anche se a fine 2020 la voce dedicata ai premi nella sezione AT del sito web del Molise diventa finalmente popolata, lo è solo in parte, non comprendendo, ad esempio, i dati relativi all’ammontare dei premi distribuiti ai dirigenti dal 2017 in avanti).
Tra le restanti tredici Regioni, solo per tre la percentuale dei premi erogati in busta paga si ferma al di sotto del 90% degli importi stanziati. Ciò significa che i premi, pensati come strumento per incentivare i dipendenti meritevoli, nella maggioranza dei casi si sono trasformati in una sorta di retribuzione aggiuntiva, solo formalmente condizionata al raggiungimento degli obiettivi fissati per l’anno. E questo, naturalmente, è ancora più ingiustificabile per i dirigenti.
In Emilia Romagna, Marche e Sardegna risulta erogata la totalità dei premi stanziati ai dirigenti.
La Regione in cui risulta maggiore la distanza tra somme erogate e stanziate è, inaspettatamente, la Sicilia, con il 78,9% di premi erogati ai dirigenti.
Un indicatore ancora più significativo riguardo ai premi è il grado di differenziazione nella loro distribuzione: un’Amministrazione, infatti, può decidere legittimamente di distribuire la totalità dei premi stanziati, ma senza rinunciare alla differenziazione nella loro distribuzione. Almeno è quanto i cittadini hanno il diritto di sperare: trattandosi di denaro pubblico, dovrebbe essere utilizzato per premiare i dirigenti che lavorano meglio.
Del resto, il sopra citato articolo 20 del decreto legislativo n. 33 del 2013 è chiarissimo al riguardo: le Amministrazioni devono dare conto del “livello di selettività” utilizzato, nonché del grado di differenziazione. Ciò nonostante, come si vede nella tabella che segue, il livello di selettività è scarso. Persino in Lombardia e Piemonte.
La Toscana è la Regione benchmark in questo indicatore, con un grado di differenziazione nella distribuzione dei premi ai dirigenti che la stacca nettamente da tutte le altre. Anche per questo indicatore un terzo delle Regioni non pubblica i dati necessari alla valutazione.