L’articolo del Corriere della Sera sul Rating Pubblico delle Regioni ha scatenato un dibattito acceso in molte di esse.
Come prevedibile, le Regioni che si sono classificate ai primi posti hanno esaltato il risultato ottenuto, spesso però forzando il significato dell’analisi. Parimenti, nelle Regioni che hanno ottenuto un punteggio basso, collocandosi agli ultimi posti della classifica, il risultato è stato utilizzato dall’opposizione politica in Consiglio regionale per lanciare accuse eccessive alla Giunta.
Alcuni chiarimenti sono d’obbligo:
I risultati pubblicati dal Corriere della Sera riguardano solo una macro-area sulle sei che compongono il Rating Pubblico elaborato da Fondazione Etica: i dati di bilancio.
Pertanto, l’Emilia Romagna, che è benchmark per il bilancio, potrebbe non esserlo nelle altre macro-aree (governance, gestione del personale, servizi ai cittadini, appalti e fornitori, impatto ambientale).
Dall’altro lato, le Regioni, come il Molise, che presentano dati di bilancio meno virtuosi, potrebbero recuperare nelle altre cinque macro-aree.
Il Rating Pubblico è stato pensato non per lo scontro politico, ma per il confronto costruttivo: una radiografia di cosa funziona e cosa no nell’Amministrazione Regionale. Grazie ad esso le Regioni si raccontano agli stakeholder e possono individuare dove e come migliorarsi. Non è una gara con vincitori e vinti, ma una competizione a spendere meglio il denaro dei cittadini.
Portando una sorta di sana concorrenza tra le Regioni, il Rating Pubblico implementa lo spirito del decreto 33/2013, cosiddetto “trasparenza”, rendendo conveniente per le Regioni essere più trasparenti ed efficienti: l’incentivo è sia reputazionale (sui media e tra gli stakeholder) sia finanziario (con maggiori risorse pubbliche e private).
Il “vespaio” sollevato dall’articolo del Corriere della Sera ne è la dimostrazione.