Ai Paesi membri che vogliono accedere al Recovery Fund l’Unione Europea chiede un serio piano di investimenti e, al contempo, di riforme. Tra queste ultime, le country specific recommendations per l’Italia puntano soprattutto sulla riforma della Pubblica Amministrazione. Non a caso: per essere efficace nessun investimento può prescindere da una macchina amministrativa trasparente ed efficiente nei diversi livelli territoriali di governo. La ripresa economica non sarà solo una questione di quanti soldi arriveranno nel nostro Paese, ma anche e soprattutto di “come” quei soldi saranno spesi e “da chi”. In altre parole, iniettare liquidità, ad esempio nelle Regioni e nei Comuni, non sarà sufficiente a garantire una ripresa diffusa ed equa, se Regioni e Comuni non si doteranno di quella che nella terminologia europea viene definita “capacità istituzionale”.
Nel dibattito politico, invece, l’attenzione sembra concentrarsi quasi esclusivamente su quali progetti di investimento scegliere – se più per la green economy o per la digitalizzazione- e su chi dovrà gestire i relativi aiuti europei. Va bene, ma non basta. Serve cominciare subito a porre l’accento sul rafforzamento di quella “capacità istituzionale” che l’Europa esige come condizione essenziale affinché il Recovery Fund non rischi di essere sprecato. È chiaro che una riforma della PA che aumenti quella capacità non si realizza in pochi mesi, ma per predisporre almeno un percorso riformatore credibile agli occhi dell’UE il Governo deve dotarsi sin da ora di un quadro conoscitivo generale delle Pubbliche Amministrazioni. E questo per il semplice motivo che non si può migliorare ciò che non si conosce.
Di quel quadro, attualmente, non dispone nessuna istituzione pubblica, se non limitatamente ad aspetti parziali , ma ne ha posto le basi il legislatore italiano, nel 2013, con il cosiddetto “decreto trasparenza” . Questa disciplina, obbligando tutte le PA a pubblicare le stesse informazioni nello stesso formato, con la stessa cadenza e nella stessa sezione dei rispettivi siti web, permette di misurare performance e integrità di ogni Amministrazione, di compararla con quelle della stessa tipologia, di seguirne il trend cronologico.
Quella banca dati “di fatto” che il legislatore ha reso obbligatoria per l’universo PA con la sezione “Amministrazione Trasparente” sui siti web istituzionali appare oggi disordinata e confusa anche per gli addetti ai lavori, e quindi poco fruibile. Tuttavia, l’applicazione della metodologia di valutazione dei cosiddetti “indici di sostenibilità ESG ” la può trasformare in una fonte ricchissima per mappare le Amministrazioni Pubbliche e il loro stato di efficienza, trasparenza e integrità. Grazie a uno di quegli indici , sono già disponibili i risultati comparati sulle Regioni e sui Comuni capoluogo di provincia : un patrimonio informativo il cui valore diagnostico non può essere ignorato nel nostro Paese, ora che la Commissione Europea lo ha indirettamente riconosciuto dando avvio ad un progetto pilota per la verifica in altri Paesi membri.
Un buon risultato per il Governo sarebbe già quello di realizzare la prima due diligence delle Pubbliche Amministrazioni in Italia. Ciò gli consentirebbe di predisporre un piano di rafforzamento amministrativo, che, senza necessità di varare nuove norme, può diventare una delle riforme più apprezzate dall’Unione Europea. Tristemente nota, infatti, per le sue inefficienze e sprechi, l’Italia ha l’opportunità di dimostrare di avere avviato un serio e profondo processo di miglioramento della qualità della spesa proprio a partire dal miglioramento dell’apparato amministrativo pubblico. Ciò comporta che la riforma della PA non può più essere appannaggio solo del Ministero della Funzione Pubblica, ma anche di quello dell’Economia e delle Finanze: mappare lo stato di salute delle Amministrazioni significa fornire al MEF una bussola per allocare i fondi europei che arriveranno puntando sul merito e, dunque, sulla qualità della spesa, premiando le Amministrazioni più virtuose e incentivando quelle che non lo sono abbastanza.
Ciò non significa, naturalmente, che le Amministrazioni meno performanti e più opache non devono essere supportate. Nel pieno rispetto del principio perequativo della nostra Costituzione, il Governo deve poter condizionare gli aiuti a un serio impegno sul rafforzamento della capacità amministrativa. In altri termini, le PA saranno più incentivate a realizzare quel rafforzamento se da esso dipenderà almeno parte della distribuzione del Recovery Fund. Agli incentivi finanziari si aggiungeranno, poi, quelli di tipo reputazionale: i primi, infatti, consentendo a Regioni e Comuni di offrire più servizi e investimenti sui territori, sono in grado di aumentare la soddisfazione dei cittadini e, conseguentemente, la reputazione dell’ente pubblico.
La doppia incentivazione – finanziaria e reputazionale – derivante dalla conoscenza e valutazione delle PA è stata spiegata con grande chiarezza dalla Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle Amministrazioni Pubbliche (CIVIT, ora diventata ANAC): “I sistemi di misurazione assumono un carattere ancora più rilevante in situazioni di ciclo economico negativo” almeno per “due ordini di ragioni: la prima relativa alla soddisfazione delle esigenze dei cittadini e la seconda relativa alla migliore capacità di scelta e di selezione da parte delle autorità competenti in ordine all’allocazione delle risorse. Quanto al primo profilo (…) la soddisfazione e il coinvolgimento del cittadino costituiscono il vero motore dei processi di miglioramento e innovazione. Quanto al secondo profilo, la misurazione della performance consente di migliorare l’allocazione delle risorse fra le diverse strutture, premiando quelle virtuose e di eccellenza e riducendo gli sprechi e le inefficienze.” Sono parole scritte nel 2012, ma che tornano molto attuali. Se l’Italia avvierà quel trend virtuoso – conoscere le PA, supportarle nel miglioramento, distribuire fondi europei sulla base del merito e dell’impegno- sarà in grado di attrarre, dopo il Recovery Fund, anche i capitali privati, ad esempio dei fondi di investimento istituzionali, e quelli degli investitori internazionali. Capitali che, come quelli europei, investono in un Paese non solo per i suoi progetti, ma soprattutto per la credibilità delle sue istituzioni.