Il Social Impact Investing consiste in politiche innovative sotto almeno due punti di vista.
- Innanzitutto, perché coinvolgono diversi attori, pubblici e privati: non più solo lo Stato, ma anche investitori privati, intermediari finanziari, organizzazioni no-profit.
- In secondo luogo, perché consentono di realizzare un doppio obiettivo: un forte impatto sociale e un guadagno economico, in tal modo convenendo al singolo investitore come all’intera comunità.
Vi è ormai ampia evidenza, infatti, che la crescita sociale stimola la crescita dell’economia reale.
Oggi i tempi sono maturi per questo tipo di approccio in quanto, nel tempo, è venuta meno la contrapposizione tra fare beneficienza e fare profitto. In passato, la separazione social/business ci ha abituato a soggetti benestanti che, da una parte, mirano al profitto senza necessariamente fare attenzione alle modalità con cui esso si genera e, dall’altra, puntano a sentirsi a posto con se stessi facendo beneficenza a ospedali e parrocchie.
Oggi, invece, la scarsità di risorse pubbliche sta spingendo verso una mentalità diversa, quella per cui fare filantropia facendo profitto è non solo possibile, ma anche conveniente.
Lo dimostrano gli strumenti concreti che l’innovazione sociale ha consentito già di testare in Paesi come Gran Bretagna e Usa: gli investimenti ad impatto sociale (Social Impact Investing, in breve SII).
Si tratta di un’ampia gamma di investimenti (loan based o equity based) basati sull’assunto che i capitali privati possano intenzionalmente contribuire a creare, anche in combinazione con i fondi pubblici, impatti sociali positivi e, al tempo stesso, rendimenti economici privati. Punti salienti degli SII sono: intenzionalità a produrre un impatto e quindi un cambiamento sociale; obiettivi misurabili; orientamento all’outcome (cambiamento percepito nell’intera comunità) anziché all’output (quantità delle prestazioni erogate); rendimento economico per gli investitori.
Contrariamente a quanto si crede, i SII sono strumenti adatti non solo ai mercati emergenti ma anche a quelli maturi, in quanto riescono a coprire il gap tra domanda di welfare e inadeguatezza delle risorse pubbliche. Un gap pericoloso, che interessa i Paesi del G8: nei prossimi dieci anni, infatti, essi dovranno far fronte a un forte fabbisogno di spesa non coperta per il welfare. Gli investimenti a impatto sociale possono diventare l’ambito di raccordo tra il bisogno di servizi incomprimibili, l’inadeguatezza di risorse del pubblico, la ricerca di profitto degli investitori.
È evidente che si tratta di un salto in avanti notevole, molto oltre quello compiuto, in passato, con l’introduzione del concetto di responsabilità sociale e di investimenti basati sui criteri SRI e ESG ().
- SRI: i Social Responsible Investing si affidano a sistemi di screening che escludono dall’investimento settori giudicati non socialmente responsabili, quali quello delle armi e del gioco di azzardo (SRI).
- ESG: un gradino ancora più avanzato sono questi basati sulla valutazione dell’impatto ambientali, sociali e di governance.
- Gli SII, invece, rappresentano un ulteriore step perché costruiti specificamente con l’intenzione di ottenere un rendimento e un cambiamento sociale.
È significativo il termine Impact Investing sia stato coniato, nel 2008, da JP Morgan e Rockfeller Foundation: la finanza oggi comincia ad avere interesse anche per il Social Impact principalmente perché riguarda investimenti con alto tasso di decorrelazione (ad esempio, meno soggetti al cosiddetto rischio Paese) e quindi con rendimenti meno immediati e talora – ma non sempre- più bassi di quelli di mercato, ma comunque meno volatili.
Gli SII non sono stati solo teorizzati e progettati, ma anche avviati e testati. Il primo Paese a utilizzarli è stato il Regno Unito, in cui nel 2010 il Governo ha sviluppato il primo SIB (Social Impact Bond), seguito poi dagli Stati Uniti, in particolare dalla città di New York (2012).